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Paolo Di Canio: I'm forever blowing bubbles.

 Er Pallocca, alias Paolo Di Canio

1968, Roma, borgata Quarticciolo là dove la Prenestina si interseca con viale Palmiro Togliatti. E’ un quartiere popolare della periferia capitolina che sembra aver poco da raccontare, fin quando un vagito squarcia la canicola di quel 9 luglio. La sora Pierina ha messo al mondo un altro pupo, il quarto maschio di una nidiata a tinte giallorosse. Si chiama Paolo. Fin dai suoi primi respiri, con le sopracciglia aggrottate, lascia presagire che la sua vita sarà per sempre in direzione ostinata e contraria. 

Crescendo Paolino, detto “Er pallocca” per i suoi contorni pingui, non tradisce le aspettative di sovversivo. Il parchetto sotto casa è la sua scuola. La Lazio l’unica fede da professare a discapito della famiglia romanista. Il pallone il migliore amico che si possa desiderare. L’adolescenza sfina il fisico del nostro rivoltoso e affina la tecnica con la palla tra i piedi. E’ perfettamente ambidestro. Dribbling mortifero. Vizio pervicace di non passare mai la palla, convinto di essere in grado di far gol da solo vincendo ognuno degli undici avversari. 

Richiamo d’Oltremanica: Paolo Di Canio, dalla Lazio al Celtic

La Lazio ne fiuta il talento, grazie anche ad un articolo sul “Corriere Laziale” che ne elogiava i numeri nella Pro Tevere Roma, ma preferisce mandarlo a farsi le ossa alla Ternana prima del ritorno in grande stile nel 1987. Il 1989, in virtù del gol vittoria nel derby capitolino con tanto di prima esultanza provocatoria, lo pone al centro dell’occhio di bue teatrale prima di congedarsi dietro il sipario in seguito alla cessione, a malincuore, alla Juventus. Il tourbillon di trasferimenti di Paolo Di Canio in cerca di un ruolo da protagonista sarà interminabile. Napoli, Milan e Celtic assaporeranno sprazzi del fuoriclasse che è in lui, senza però aiutarlo a consacrarsi definitivamente tenendo a bada un carattere spigoloso in continuo urto con gli allenatori. 

L’Oliver Cromwell di Quarticciolo: dal Celtic allo Sheffield

Nonostante gli aspri dissidi con la dirigenza del Celtic, Di Canio realizza di aver finalmente trovato la sua isola che non c’è: il Regno Unito. Perché alcuni credono che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non per Paolo. Per lui è molto, molto di più.
L’idea di football fisico volto a premiare l’intelligenza tattica e i colpi di genio stimolano Paolo Di Canio. Infatti, innamorato dello smisurato ardore del tifo inglese, zaino in spalla e pallone sotto braccio scende circa 250 miglia a sud di Glasgow e accetta la lauta offerta dello Sheffield Wednesday. Di Canio così diventa uno degli alfieri del calcio italiano d’oltremanica. L’Oliver Cromwell di borgata che ha infuocato i cuori inglesi educandoli ad un nuovo credo calcistico.
Un leader tutt’altro che silenzioso, che guida i suoi alla ricerca del successo da perseguire senza limiti. Un numero dieci parossistico che incarna in sé l’ ”odi et amo” più autentico e che ha fatto subito innamorare i tifosi inglesi di quei 178 cm. Di base è uno smargiasso schietto dalla polemica snervante, ma dotato di un talento così puro da far accettare ai suoi beniamini ogni eccesso purché li deliziasse.

C’mon Sheffield: le 11 giornate di Paolo Di Canio

Nel mentre, a testimonianza del cambiamento che si respirava in Inghilterra a fine ‘900, il partito laburista ha ottenuto la vittoria alle elezioni generali, la più ampia della sua storia consentendo a Tony Blair, a 43 anni, di diventare il primo Primo Ministro inglese più giovane dal 1812. Ma si sa, come diceva Tancredi Falconeri ne “Il Gattopardo”: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” e Paolo Di Canio ne sa qualcosa. Infatti non rinuncia alla sua fama di “bad boy”. 26 settembre 1998, Sheffield Wednesday – Arsenal. Dopo una colluttazione con il londinese Keown, Di Canio viene espulso dall’arbitro Paul Alcock. A quel punto Paolo inveisce contro il direttore di gara spingendolo a terra, un vero e proprio “Bad touch” come la hit dei Bloodhound Gang che a fine millennio ha impazzato nelle radio e nei walkman di ogni adolescente. Tutto ciò gli è costato 11 giornate di squalifica, le ire di tutto il paese e il lauto ingaggio nello Yorkshire. Ma, come cantavano all’epoca i Lunapop, “Un giorno migliore” è alle porte per Paolo Di Canio “The Volcano”, soprannome che da allora lo ha accompagnato lungo tutto il suo percorso oltremanica. 

Londra come Roma

Nel 1998, mentre il colossal Titanic di James Cameron si aggiudicava undici Oscar, mr. Di Canio Paolo firma con il West Ham andando a difendere i colori della squadra della working class dell’east end londinese. Gli “Hammers”, i martelli come vengono soprannominati, sono la perfetta rappresentazione iconografica del personaggio Di Canio. Perseverante e risoluto da non conoscere ostacoli. Quel logo con i mazzuoli incrociati a difendere la roccaforte dalle torri merlettate della “Green Street House” è diventato una seconda pelle per “The Volcano”.

Londra come Roma, due capitali vibranti attraversate da un grande fiume che, come una vena cava, pulsa sangue nel cuore di un piccolo grande uomo di borgata. “Upton park” profuma subito di casa per Paolo, là dove ha ricostruito un microclima paritetico a quello di casa sua al Quarticciolo.

Difatti il Newham a Londra, per quanto assai più esteso, occupa la stessa posizione geografica rispetto al centro della città del quartiere capitolino. Un caso?
Harry Redknapp, come un abile falegname, pialla e smeriglia la corteccia di Di Canio senza intaccarne il midollo. Lasciandolo così libero di esprimersi all’alba dei suoi primi 30 anni. E’ un Paolo finalmente scevro da superflui colpi di testa che in passato ne hanno condizionato l’esito e quindi più concentrato e pronto all’appuntamento con la storia.

 

Paolo Di Canio “The Volcano”

26 marzo 2000 il “Boleyn Ground” è tutto esaurito per West Ham – Wimbledon, uno scontro decisivo per i sogni europei degli “Hammers” e le residue speranze salvezza dei “Dons”, oggi tristemente scioltisi. Al 9’ Sinclair lascia partire un lungo traversone dall’out di destra indirizzato verso Di Canio posizionato all’estremità opposta poco dentro l’area di rigore. Paolo Di Canio “The Volcano” salta e con entrambi i piedi sospesi, colpisce il pallone al volo di esterno destro e insacca all’angolo opposto il portiere avversario. Un colpo tennistico, una volée di rovescio lungo linea straordinaria. Un gol a cui la mera ricostruzione scritta non rende merito. Ma che è la rappresentazione più trasparente dell’essenza di Paolo. Tant’è che è stato premiato dai tifosi degli “Hammers” come la rete più bella nella storia. Un vero e proprio “Beautiful day” come cantavano in quei mesi gli U2. E mentre in terra di Albione l’applicazione della terapia Haart (Highly Active Anti-Retroviral Therapy) segnava per la prima volta, dall’inizio dell’epidemia di AIDS, un decremento nei decessi, a migliaia di km di distanza Vladimir Putin stava per ridisegnare parte del futuro del pianeta venendo eletto presidente della Russia. Infatti, l’ex KGB, dopo le dimissioni inaspettate di El’cin, ha dato il via ad una reggenza assai discussa, e tutt’ora in auge, con accuse di autoritarismo, peculato ed idolatria tipici del totalitarismo.

I’m Forever Blowing Bubbles

A maggio dello stesso anno la sua amata Lazio ha vinto il suo secondo Scudetto. Ai festeggiamenti non ha potuto certo mancare Di Canio che, fin dalla tenera età, ha seguito i biancocelesti con il gruppo ultras degli “Irriducibili”, nonostante l’onta familiare. Con la maglia dell’Italia, manco a dirlo, non ha avuto troppa fortuna, potendo accarezzare solo quella dell’Under-21 senza mai riuscire ad indossare quella della nazionale maggiore. E dire che ad Euro2000 più volte si era candidato, ma Dino Zoff lo riteneva una mina troppo vagante per uno spogliatoio così armonioso. Chissà quel 2 luglio come sarebbe andata la finale dell’Europeo contro la Francia con un Di Canio in più. In quell’estate Paolo, dopo esser stato insignito del premio “Hammer of the year”, ha saputo dire no ad un re del calcio inglese come Sir. Alex Ferguson che, più volte negli anni, lo ha corteggiato per portarlo all’Old Trafford a vestire la gloriosa maglia del Manchester United. Ma Di Canio no, non poteva tradire la sua borgata londinese. Una lunga storia d’amore che il 18 dicembre 2000, giorno del definitivo spegnimento della centrale nucleare di Chernobyl, ha raggiunto il suo apice.

Fair play o mentalità?

Durante la trasferta del West Ham sul campo dell’Everton: il portiere dei padroni di casa, Gerrard, si avventura in un’uscita al limite dell’area ma le sue ginocchia cedono e cade su sé stesso, mentre la palla schizza verso l’ala destra dove il solito Sinclair mette al centro un cross per Di Canio. Il quale può facilmente insaccare. Ma afferra la palla con le mani fermando così il gioco per permettere i soccorsi. In seguito, per tale gesto, Di Canio ha ricevuto il FIFA Fair Play Award unito ad una lettera ufficiale di encomio firmata da Joseph Blatter. Dopo la consegna del premio Di Canio ha chiosato sarcasticamente: “Prima non ero un diavolo, adesso non sono un santo”.


Non ha mai amato gli elogi. Ha sempre preferito far parlare il campo, per poi chiudersi nel calore delle mura di casa tra l’affetto della sua famiglia, da sempre gelosamente custodita. L’esperienza con la maglia dell’ “Academy of football” si è chiusa nel 2003 con 140 presenze e 52 gol. Le mere cifre non possono raccontare quanto l’avvento di Di Canio abbia segnato il calcio inglese, tant’è che è l’unico non britannico ad esser entrato nel dream team del West Ham United. Lui così anticonformista di professione, fuoriclasse per passione, ha saputo rivoluzionare il calcio con il desiderio di riportarlo ai suoi valori primordiali da non perdere alla mercé di lauti ingaggi o della notorietà. Perché la passione è l’unico motore che ti permette di essere leggero, come un bolla nell’aria.

Adesso starà camminando spavaldo per qualche vicolo della sua Roma, che saluta gli ultimi scampoli d’estate, fischiettando…

“I’m forever blowing bubbles, pretty bubbles in the air. They fly so high, nearly reach the sky, then like my dreams they fade and die!”.

Grazie alla penna di CasaBaggio.

 

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