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Dejan Savicevic, la poetica del genio

Che cos’è il Genio? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione. In una parola, Dejan Savicevic.

Il 15 agosto 1994 a Milanello è una giornata apparentemente tranquilla. Fabio Capello allena gli «Invincibili», macina in Italia successi su successi, ma in Europa sembra non avere la stessa ferocia imbattibile. La squadra rossonera nel 1993 perse a Monaco di Baviera una finale di Coppa dei Campioni strana contro l’Olympique di Marsiglia. Ma ora si appresta a volare alla volta di Atene, in Grecia, per sfidare il Barcellona di Johann Cruyff. Il presidente Silvio Berlusconi, «Sua Emittenza», si reca a Milanello. È diventato da poco presidente del Consiglio, il suo distacco dal mondo del pallone con conseguente avvicinamento alla politica è ormai evidente. Ma il suo Milan è un affare di cuore e così, pur dovendo disertare la finale di Atene a causa della votazione per la fiducia del suo governo in Senato, decide di andare a incoraggiare la squadra personalmente.

La vigilia di Atene

Il Milan per la stampa è dato per spacciato. I blaugrana sono definiti un «dream team», Johan Cruijff è sicuro di vincere. E in più mancano per squalifica capitan Baresi e Billy Costacurta. Capello deve reinventare la difesa e così prepara, dopo diversi esperimenti, davanti a Sebastiano Rossi un quartetto inedito: Tassotti, Galli, Maldini, Panucci. A centrocampo le dighe saranno Marcel Desailly, arrivato in autunno dal Marsiglia, e un giovanissimo Demetrio Albertini. Sulle fasce la qualità di Boban e Donadoni. E davanti? Con Van Basten fuori uso, che litiga ancora col ginocchio malconcio, ci sono i gol di Massaro e la fantasia di Dejan Savicevic. 

Savicevic, il pupillo del presidente

Proprio quest’ultimo la Coppa dei Campioni l’ha già vinta qualche anno prima con la Stella Rossa di Belgrado. Lui, slavo, pupillo di Berlusconi, ha incantato i Balcani e l’Europa con il suo talento immenso, ma a Milano ha fatto inizialmente fatica ad ambientarsi. Arrivò nel 1992 per 10 miliardi di lire, ma fu ripetutamente causa di attrito tra il presidente e Capello. Forse l’unica.

«Mi chiese perché togliessi Savicevic. Gli risposi che Dejan non correva e che non mi piaceva giocare in dieci contro undici. Così Savicevic si è messo a correre ed è diventato il Genio».

 

 

 

La promessa di Savicevic

Così Fabio Capello qualche anno dopo rivelò l’unica vera interferenza del Cavaliere sui suoi anni al Milan. Lui, friulano doc, sergente di ferro, felice intuizione di Berlusconi ma non per questo sottomesso. Anzi. Non faceva distinzione neppure di fronte al «Genio» per eccellenza. Quella domenica a Milanello i giochi erano fatti. La Coppa forse non è mai stata così alla portata, perché gli avversari ostentavano sicurezza estrema, perché il «vecchio leone» Milan non era morto. Era semplicemente in silenzio, dopo settimane tormentate a studiare la strategia migliore per poter zittire tutti. Berlusconi saluta l’allenatore e la squadra, affiancato dal fido Adriano Galliani, ma poi si ferma con Savicevic, suo figlioccio, e con fare paterno e provocatorio gli lancia una stoccata bonaria.

«Caro Dejan, mi batto per te da due anni. Sei un Genio? Allora dimostralo mercoledì ad Atene, ti seguirò in televisione».

L’intelligenza scaltra e, anche questa, «geniale» di Dejan Savicevic sta nel cogliere l’affettuosa sfida del suo presidente e di tramutarla in semplice promessa, un appuntamento certo con la storia fissato in un istante preciso.

La seconda promessa del Genio

Il Milan arrivato ad Atene non smette di subire la propaganda mediatica apertamente schierata con Cruijff, che assieme alla compagine catalana ostenta la superiorità sulla carta permessagli. Si fa fotografare con la Coppa prima della finale, accompagnando il tutto con laconiche dichiarazioni: «I tifosi del Milan si godano questo Barcellona: agli italiani non capita tutte le settimane di vedere una squadra che gioca bene come la nostra», «Non vedo proprio come possiamo perdere la Coppa dei Campioni». Da lontano l’occhio indiscreto di un montenegrino osserva il tutto. E su domanda di un giornalista, Savicevic smonta in poche parole la sbruffoneria di Cruijff: «Di solito le foto con la Coppa è meglio scattarle dopo». Altra promessa.

Venti secondi di poetica slava

Com’è andata a finire quella partita se la ricordano tutti gli amanti del pallone, oltre ai tifosi milanisti in visibilio. Un quattro a zero netto, quanto mai giusto e necessario. La partita tatticamente impeccabile e superiore di Capello, capace di annientare la coppia Romario-Stoichkov con l’inusuale duo difensivo Galli-Maldini, il volto di Johan Cruijff impassibile, come colto da una paresi. Ma soprattutto il «Genio». Parlavamo di appuntamento con la storia? Ebbene, giusto due minuti dopo l’inizio della ripresa Savicevic appoggia palla ad Albertini. Il giovane Demetrio dalla linea di centrocampo allarga sulla destra dove è in vantaggio Nadal, che temporeggia il tempo necessario per trovarsi davanti a sé Savicevic. La giocata che il difensore tenta è il perfetto riassunto del sentimento di quel Barcellona: la paura. Nadal avvolto da quel raddoppio inaspettato prova una specie di passaggio che però viene prontamente intercettato dal piede alto dello slavo, che rischia l’intervento dell’arbitro. Il tackle fa rimbalzare la palla al limite dell’area di rigore una volta, giusto il tempo di farsi baciare romanticamente dal sinistro di Savicevic che scavalca inesorabilmente Zubizarreta. Venti secondi per descrivere la poetica di Dejan Savicevic, capace di incastrare versi soavi e di scrivere odi con un pallone.

Savicevic, quasi-Pallone-d’Oro

Il tutto con una metrica unica e inimitabile. Un autentico «Genio». Nato a Titograd, ora Podgorica in Montenegro, nel 1966. Nel pieno di quella parvenza di «Repubblica socialista federativa» guidata dal maresciallo Tito, incastonato tra Bosnia, Serbia, Kosovo — raggruppate nella fu Jugoslavia — e Albania, con affaccio sul mar Adriatico. Dejan fa parte di quella famosa «generazione di fenomeni» della Jugoslavia, riconosciuto come il «Brasile d’Europa» in quel periodo per la qualità pregiata dei suoi giocatori. Esordì nel FK Budućnost Podgorica, squadra della sua città, per arrivare alla Stella Rossa di Belgrado, dove con la vittoria della Coppa dei Campioni del 1991 si mise in mostra arrivando a un passo dal Pallone d’Oro di quell’anno.

La massima resa col minimo sforzo

La sua pigrizia la conoscono un po’ tutti, in primis Capello. Odiava gli allenamenti mattutini e in campo correva meno di quello che voleva il mister. Ha sofferto l’adattamento al campionato italiano per le limitazioni tattiche su di lui imposte e soprattutto le pretese fisiche. Lui abituato con una giocata a compensare il prezzo di un biglietto, cercava la massima resa con il minimo sforzo, preservando lo sforzo in cambio della genialità. Poi il cambio di rotta, anche grazie al forte affetto del presidente Berlusconi, suo grande estimatore, e all’intelligenza di Capello, che tanto ne apprezzava l’infinito talento. L’intelligenza di «Don Fabio» fu quella di rendere superiore la resa del «Genio», anche in un ruolo non prediletto al montenegrino, di non accontentarsi. La partita di Atene si rivelò totale non solo per la perla incastonata nella storia del calcio mondiale, ma soprattutto per l’enorme partita a livello tattico di Savicevic, che tanto si spese in tutto il campo pressando alto e non risparmiandosi.

Il ritiro e la vita da ufficio..anzi no

Dopo il ritiro dal calcio una nuova vita. Prima da allenatore della Jugoslavia, poi dopo l’indipendenza del Montenegro nel 2006, da presidente della Federazione. Dove Savicevic non smette di essere «Genio» e poeta a suo modo. A chi gli imputa di essere cambiato, lavorando come tutti gli altri dipendenti in un ufficio, lui ha prontamente risposto così:

«Ho rifiutato uno stipendio proprio per non avere alcun tipo di obbligo. Non mi va di andare in ufficio dalle 9 del mattino alle 5 di sera. Se avessi avuto uno stipendio non avrei avuto scampo. Per vent’anni ho fatto il calciatore professionista e avevo orari da rispettare. Adesso non mi passa per la testa di timbrare il cartellino. Nella mia carriera ho sofferto così tanto gli allenamenti al mattino…».

Dejan, senza paura

La sveglia rimane fissata sulla tarda mattinata, la passione è sempre la stessa. Più magro del «settimo di tonellata» del connazionale investigatore Nero Wolfe — celebre personaggio della serie di romanzi del ‘900 di Rex Stout —, ma identico nella pigrizia. Lui, innamorato cronico di questo gioco che tanto gli ha dato e a cui lui vuole contribuire, restituendo al suo Paese un futuro in ambito sportivo. É così, prendere o lasciare. Per la finale di Atene si preparò con un motto utile per tutti i giorni: «Prima del Barcellona mi dissi: “Giocala come le altre Dejan, senza paura”». E allora perché non provarci anche noi. Proprio così, come il «Genio», senza paura.

Grazie alla penna di CasaBaggio.

 

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